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venerdì, Marzo 29, 2024
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Pinocchio di Comencini, 50 anni nel cuore degli italiani

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Pinocchio di Comencini, 50 anni nel cuore degli italiani

Di adattamenti Le avventure di Pinocchio a partire dalla versione Disney datata 1940 fino a quella firmata da Matteo Garrone, in attesa che arrivino a dicembre il Pinocchio live action di Robert Zemeckis con Tom Hanks – Geppetto e quello in stop motion di Guillermo Del Toro, il romanzo di Carlo Collodi (1881) ne ha avute tante e di prestigio. Ma una su tutte è entrata nel cuore del popolo televisivo italiano: la trasposizione firmata da Luigi Comencini con un indimenticabile gigantesco Nino Manfredi nei panni di Mastro Geppetto, che l’8 aprile festeggia i 50 anni dal suo debutto, proprio due giorni dopo il 15/mo anniversario della morte del regista scomparso il 6 aprile 2007. Cinque puntate per 280 minuti totali che andarono in onda per la prima volta su Rai1 nel 1972: quando ancora le miniserie si chiamavano ‘sceneggiati’ e quando poteva capitare di vedere tutti insieme sullo schermo attori del calibro di Gina Lollobrigida (la fata turchina), Vittorio De Sica (il giudice), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (il Gatto e La Volpe) e poi ancora Renzo Montagnani, Stefano Satta Flores. A guidare il cast un sorprendente esordiente, il piccolo Andrea Balestri nei panni del burattino Pinocchio che fu scelto proprio per il suo carattere vivace e ribelle. Una generazione se lo ricorda ancora, forse per quel tema musicale – allegro e malinconico nello stesso tempo – firmato da Fiorenzo Carpi. Comencini ci riporta nel Granducato di Toscana, alla metà del 19°secolo, dove il falegname che vive in una stamberga e il fuoco è disegnato su un parete decide di fabbricare un burattino di legno, con un ciocco regalatogli da Mastro Ciliegia (Ugo D’Alessio). Grande la sua meraviglia quando al termine dell’opera, la scultura inizia a parlare. E ancor più grande la sorpresa quando, al suo risveglio, Mastro Geppetto si ritrova davanti non più il burattino ma un bambino in carne ed ossa. Non è un mistero, il fatto che Comencini si sia preso delle “licenze registiche”, ma va sottolineato su tutto quel Geppetto/Manfredi, immenso, struggente, autentico ancora oggi con rispetto agli autorevolissimi competitors su grande schermo, tanto sul Carlo Giuffrè della versione Roberto Benigni che sul Benigni medesimo della versione Matteo Garrone (il film ha ricevuto due candidature all’oscar miglior costumi e miglior trucco). Ma riguardando Comencini forse aveva colto sfumature ‘in avanti’ e intensità. Parentesi a parte tra le differenze rispetto al testo di Collodi, c’è il fatto che Pinocchio è interpretato da un bambino vero e, solo in alcune scene, viene ritrasformato in burattino (quando viene punito o salvato dalla Fata Turchina). Inoltre, tutti i personaggi che nel libro sono rappresentati come animali, nel film sono interpretati da attori in carne ed ossa – vedi il Gatto e la Volpe – e solo nel trucco ricordano gli animali di riferimento. Fa eccezione il Grillo Parlante, che è un animaletto ma, a differenza di quanto accade nel libro (e nel film d’animazione Disney, del 1940), Pinocchio lo uccide con una padellata, stanco delle sue continue interferenze, e non ricomparirà più. Altra differenza, riguarda il finale. Nello sceneggiato, Pinocchio si trasforma in un bimbo vero quando si trova ancora nella pancia del pescecane gigante, invece nel romanzo il burattino viene trasformato per aver aiutato Geppetto e la Fata Turchina. Il successo dello sceneggiato fu, clamoroso e rimase fedele alla struttura narrativa. C’è da dire che Comencini, noto come grande perfezionista e fenomenale creatore di film a tematica adolescenziale, costruì un mosaico impeccabile. Il regista riuscì a dare la sua impronta poetica, seppur dando al racconto di Collodi maggiore realismo e significati morali importanti. I punti di forza assoluti del progetto: la sceneggiatura, scritta a quattro mani con Suso Cecchi D’Amico; il cast straordinario e poi la colonna. Per il film Oscar Tirelli realizzò tre diversi burattini di legno: uno statico; uno meccanico (utilizzato per le scene in movimento), più una testa senza occhi per le scene del movimento degli occhi ; e infine uno acquatico per le scene in acqua. Lo sceneggiato, scritto da Comencini insieme a Suso Cecchi d’Amico fin dal 1963, fu girato tra il Lazio e l’Umbria principalmente nelle province di Viterbo, Terni e Roma. (ANSA)

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