Camerota. Processo Kamaraton, pesanti condanne: le motivazioni dei giudici
A distanza di cinque mesi dalla sentenza, sono state depositate le motivazioni del tribunale relative alla vicenda giudiziaria Kamarathon che ha coinvolto con pesanti condanne l’ex sindaco di Camerota, Antonio Romano, e diversi amministratori e funzionari del Comune. Un documento di 257 pagine che traccia il quadro di una gestione amministrativa definita dai giudici come “para-privatistica”, orientata sistematicamente alla soddisfazione di interessi personali piuttosto che all’interesse pubblico. Secondo i giudici, l’amministrazione guidata da Romano, insieme a funzionari e consiglieri a lui vicini, avrebbe operato secondo logiche clientelari, alimentate da un rapporto diretto e utilitaristico con l’elettorato.
L’inchiesta, nata dall’irregolare gestione dei tributi locali, in particolare della Tosap, ha svelato un sistema in cui le risorse pubbliche venivano utilizzate per foraggiare missioni politiche, coprire spese personali e ottenere benefici privati. Durante il processo, le difese avevano sollevato l’inutilizzabilità delle intercettazioni, richiamando la nota sentenza a Sezioni Unite della Cassazione in tema di utilizzabilità nei procedimenti diversi da quelli per cui le captazioni erano state autorizzate. Tuttavia, come chiarito nelle motivazioni, la questione non ha avuto impatto concreto sul processo, in quanto riferita a reati ormai depenalizzati, come l’abuso d’ufficio, prescritti o improcedibili per mancanza di querela. Le intercettazioni raccolte nell’ambito dell’indagine, definite dai giudici una “miniera di commenti”, documentano il linguaggio e l’atteggiamento degli amministratori, capaci di descrivere il Comune come una “troccolata”, cioè un caos organizzato, privo di regole, e il loro stesso operato come quello di chi “rema per i fatti propri”.
Camerota, l’inchiesta sugli appalti pilotati: il pm chiede 134 anni di carcere
Espressioni grezze, ma inequivocabili, che dimostrerebbero la piena consapevolezza del carattere illecito delle condotte poste in essere. Tra gli episodi più gravi documentati, l’uso dei fondi derivanti dalla Tosap per spese non rendicontate, favoritismi nella concessione di parcheggi, sponsorizzazioni fittizie e una sistematica spartizione degli appalti tra cooperative riconducibili agli amministratori o ai loro familiari. Le società partecipate del Comune, come “La Calanca s.r.l.” e “Marina Leon di Caprera s.r.l.”, sarebbero state utilizzate come “bancomat” per sostenere spese personali o premiare elettori fidati. Uno dei passaggi centrali delle motivazioni riguarda la logica della “fedeltà in cambio di favori”. Gli amministratori, si legge, minacciavano di far cadere la giunta nel caso in cui le proprie richieste non fossero state esaudite. Emblematico il caso dell’assessore Rosario Abbate, che avrebbe più volte minacciato di ritirare il proprio sostegno politico se non gli fossero state affidate specifiche competenze, in particolare nel settore cimiteriale, da cui avrebbe tratto vantaggi diretti. Altro esempio citato: l’impegno assunto dall’ex assessore Michele Del Duca di assegnare lavori da 50mila euro a un imprenditore nonostante l’assenza del Durc, in cambio del silenzio e del mantenimento della lealtà politica.
Secondo i giudici, Antonio Romano e Antonio Troccoli, condannati a 13 e 12 anni e rispettivamente sindaco in carica e già primo cittadino, nonché dirigente dell’Ufficio Affari Generali, sarebbero stati i promotori dell’associazione a delinquere. Accanto a loro, un gruppo ristretto di assessori e consiglieri, tra cui Ciro Troccoli condannato a sei anni, Michele Del Duca ad 1 anno ed 8mesi, Rosario Abbate a 14 anni, Fernando Cammarano a 6 anni, che avrebbero gestito in modo parallelo e spartitorio le principali attività del Comune. (Carmela Santi – SETTV)